Sono tumori rari, ma costituiscono un’enorme sfida per la ricerca scientifica. Per questo i tumori a origine sconosciuta, o CUP, sono nel ‘mirino’ di Fondazione Bonadonna, che sta avviando collaborazioni con gruppi di ricerca attivi sull’argomento così da aumentare le conoscenze su questi tumori e poter dare speranze ai pazienti. Per esempio con l’analisi molecolare dei singoli tumori in ciascun paziente, per individuare possibili target di terapia: lo sottolinea Carla Boccaccio del Laboratorio di Ricerca sulle Cellule Staminali dell’IRCCS Istituto Tumori di Candiolo che grazie all’utilizzo di un modello sperimentale efficace, le agnosfere, ha di recente fatto un po’ di chiarezza sulle caratteristiche dei CUP.
«In un tumore ‘classico’, anche se la diagnosi arriva quando ci sono metastasi, è possibile risalire alla sua origine e rintracciare somiglianze con il tessuto originario perché serve tempo perché il tumore, dalla sua sede primaria, riesca a metastatizzare», osserva Boccaccio. «Nei CUP le metastasi sono rapidissime, è come una galassia che si espande in tempi velocissimi: appena le cellule tumorali si formano ‘scappano’ dalla loro sede, tanto che nei CUP è appunto impossibile risalire alla prima origine delle metastasi. L’ipotesi, quindi, è che i CUP originino da cellule staminali: sono queste le cellule del nostro organismo che hanno la capacità di proliferare e migrare rapidamente, pensiamo per esempio a quanto accade durante lo sviluppo embrionale dove le staminali sono protagoniste. Nei CUP cellule staminali immature, a seguito di alterazioni genetiche o epigenetiche, restano nella loro condizione di staminalità e migrano in molti siti dove, grazie anche alla loro elevata adattabilità, generano metastasi». Si tratta di cellule molto autonome, come ha dimostrato Boccaccio propagandole in coltura: in vitro non hanno neppure bisogno di fattori di crescita per auto-mantenere la loro condizione di cellule staminali.
«La popolazione di cellule staminali in altri tumori, anche metastatici, è piccola mentre nei CUP è ampia: poiché le cellule tumorali più differenziate sono anche quelle più sensibili alle cure, questa grande quantità di cellule staminali resistenti è uno dei motivi che rende così difficile trovare una terapia efficace per i CUP», dice Boccaccio, i cui studi hanno permesso di scoprire però che le staminali dei CUP sono sensibili all’inibizione di MEK. Esiste quindi la possibilità di trovare interruttori molecolari che consentano di ipotizzare terapie e come sottolinea l’esperta «Approfondire le conoscenze genetiche e molecolari dei CUP usando le agnosfere potrebbe aiutarci a capire che cosa trasforma una staminale di un tessuto in CUP; inoltre, stiamo cercando di eseguire analisi molecolari approfondite alla ricerca di target. Se in un paziente con CUP trovassimo per esempio alterazioni di HER-2 potremmo provare a utilizzare trastuzumab, indipendentemente dal verificare un’origine mammaria del tumore. Un’analisi a 360 gradi resa possibile grazie alla collaborazione fra diversi laboratori e centri oncologici e alla cooperazione con Fondazione Bonadonna aiuterà a capire tutte le possibili vulnerabilità dei CUP», conclude Boccaccio.