
Un proteina ‘bifronte’ per il melanoma uveale metastatico.
21/04/2021
Tumori solidi con un alto numero di mutazioni, buoni risultati con Atezolizumab.
21/04/2021Lo studio è di fase I, a singolo braccio e ha coinvolto soltanto 38 pazienti; tuttavia i risultati ottenuti con bempegaldesleukin in combinazione con nivolumab in pazienti con tumori solidi mai trattati con immunoterapia sono incoraggianti e fanno ipotizzare che questa associazione possa essere d’aiuto anche in malati con una scarsa probabilità di risposta all’immunoterapia diretta contro PD-1 o PD-L1.
È quanto emerge da uno studio multicentrico pubblicato di recente su Cancer Discovery, condotto da Ali Diab dell’Anderson Cancer Center di Houston per valutare se associare una IL-2 pegilata come bempegaldesleukin a un anticorpo diretto contro PD-1 possa essere una strategia terapeutica percorribile in pazienti con tumori solidi come melanoma avanzato, carcinoma renale o tumore del polmone non a piccole cellule. Gli autori hanno coinvolto 38 soggetti per valutare innanzitutto la sicurezza della combinazione, analizzando cinque diversi protocolli di trattamento a dosaggi e/o intervalli di trattamento crescenti e sottoponendo i partecipanti a una media di 15 cicli e poco più di 13 mesi di terapia.
I risultati relativi alla tollerabilità fanno ben sperare, perché l’associazione dei due farmaci ha provocato per lo più effetti collaterali blandi: i più frequenti sono stati sintomi simil-influenzali (86,8%), rash (78,9%), affaticamento (73,7%) e prurito (52,6%) e soltanto otto persone, pari al 21% del campione, hanno riportato eventi avversi di grado superiore al terzo, fra cui iperglicemia e iperglicemia più acidosi. Anche in questi casi tuttavia è stata possibile una gestione efficace attenendosi alle indicazioni delle linee guida. In 17 pazienti si è testato un dosaggio incrementale e in due di loro sono comparsi effetti collaterali limitanti (ipotensione, iperglicemia, acidosi metabolica; l’ipotensione tuttavia è spesso facilmente prevenuta con un’adeguata idratazione durante il trattamento).
Lo studio ha anche valutato l’efficacia clinica della combinazione, riscontrando un tasso di risposta oggettiva alla terapia del 59,5% con 7 casi di risposta completa (pari al 18,9% del campione); il tasso va dal 71,4% nel carcinoma renale in prima linea mai trattato con immunoterapia al 28,6% nello stesso tipo tumore ma nell’impiego di seconda linea anche se ugualmente naive all’immunoterapia. Inoltre, nel gruppo di pazienti trattati con il dosaggio raccomandato per la sperimentazione clinica di fase II (ovvero bempegaldesleukin 0,006 mg/kg e nivolumab 360 mg ogni 3 settimane) il tasso di risposta oggettiva alla terapia è stato del 66,7% e il tasso di controllo della malattia dell’83,3%. Le biopsie tumorali hanno mostrato un aumento dell’infiltrazione, dell’attivazione e dell’attività citotossica delle cellule T CD8+, come atteso considerando l’attività agonista della via dell’IL-2 di bempegaldesleukin; il rapporto fra CD8+ e cellule T regolatorie cresce più di quattro volte, indipendentemente dal livello basale di espressione di PD-L1.
In un’editoriale che accompagna lo studio oncologi dell’Unità di Immunologia e immunoterapia oncologica dell’INSERM Gustave Roussy di Villejuif, alle porte di Parigi, hanno definito un ‘nettare’ la combinazione di bempegaldesleukin e nivolumab: il primo farmaco è un analogo di IL-2 con un buon profilo di tollerabilità che negli studi preclinici e nelle prime indagini sull’uomo ha dimostrato di portare a una significativa espansione di cellule CD4+, CD8+ e natural killer, il secondo è già utilizzato come immunoterapico grazie alla sua azione sul checkpoint PD-1. Bempegaldesleukin da solo non ha mai mostrato una grande attività antitumorale ma l’accoppiata è vincente secondo gli esperti francesi Mathieu Rouanne, Laurence Zitvogel e Aurélien Marabelle, che spiegano: «I dati suggeriscono che bempegaldesleukin possa potenziare efficacemente l’efficacia antitumorale della monoterapia con nivolumab; è importante notare che la risposta diventa più consistente all’aumentare dei cicli, probabilmente per il rilascio graduale del polietilenglicole da bempegaldesleukin che ne libera man mano i siti o per la capacità del farmaco di mobilitare ed espandere continuativamente linfociti antigene-specifici. Inoltre», proseguono gli oncologi, «l’aggiunta di bempegaldesleukin a nivolumab non aumenta gli effetti collaterali tipici del blocco di PD-1, segno che non c’è una sovrapposizione di tossicità».
I buoni risultati hanno già aperto la strada a un allargamento del trial per includere pazienti con altri tumori e la combinazione si sta già testando in sperimentazioni di fase II e III, per esempio come terapia neoadiuvante nel cancro della vescica invasivo o come trattamento adiuvante dopo la rimozione di melanomi ad alto rischio. «Lo studio sottolinea la rilevanza di riconsiderare terapie a base di citochine assieme alle nuove immunoterapie, per avere risposte migliori e più durature risparmiando i tessuti sani», concludono Rouanne,