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28/11/2022Una firma mutazionale che si può individuare in modo affidabile da dati del pannello di sequenziamento si associa alla risposta a olaparib
Nelle pazienti con tumore alla mammella gli inibitori PARP come olaparib sono approvati per chi è portatore di mutazioni di BRCA1/2, ma evidenze crescenti indicano che si potrebbero avere benefici anche in altri pazienti e c’è quindi un bisogno clinico di biomarcatori di risposta più globali. Nuovi dati pubblicati su Clinical Cancer Reserch mostrano che pazienti con deficit di ricombinazione omologa (HRD) diversi dalle mutazioni in BRCA1/2 possono essere identificati da un metodo, chiamato SigMA, che individua la firma mutazionale 3 (Sig3) associata con HRD su dati di sequenziamento del pannello clinico.
Il metodo SigMA per selezionare i pazienti che potrebbero beneficiare dei PARP inibitori, precedentemente sviluppato dagli autori, è stato applicato a pazienti con tumore alla mammella od ovarico incluse in due set indipendenti di dati; i risultati mostrano che Sig3, individuato da SigMA, ha un’associazione positiva con un miglioramento nella sopravvivenza libera da progressione di malattia e nelle risposte oggettive. Inoltre, il confronto fra la rilevazione di Sig3 nel pannello e i dati relativi al sequenziamento dell’esoma da campioni della stessa paziente ha dimostrato risultati in rilevante concordanza fra loro, ma anche una prestazione superiore rispetto allo score di instabilità genomica. Un HRD può essere perciò identificato in maniera affidabile da dati di sequenziamento che vengono ottenuti abitualmente, come parte della routine clinica, e che questo approccio può identificare le pazienti che potrebbero trarre beneficio dall’uso dei PARP inibitori anche al di là di coloro che hanno mutazioni ereditarie di BRCA1/2. «Questo studio porta le firme mutazionali più vicine all’impiego in clinica non solo grazie alla conferma della capacità di individuare Sig3 attraverso il sequenziamento clinico, ma anche correlando queste firme mutazionali a esiti clinici significativi come la sopravvivenza libera da progressione di malattia e il tasso di risposta oggettiva», dicono gli autori. «Il nostro metodo è unico perché individua Sig3 dal sequenziamento clinico di routine, che ha come bersagli poche centinaia di geni, laddove invece i metodi usati in precedenza per l’identificazione di Sig3 richiedevano il sequenziamento dell’intero esoma o dell’intero genoma che invece non fa parte della routine di cura. Sig3 potrebbe perciò essere utilizzato per disegnare studi clinici per identificare pazienti che potranno beneficiare con elevata probabilità dei PARP inibitori, senza ulteriori costi di sequenziamento».
