La produzione di neoantigeni tumorali è presente nei pazienti con tumore al colon-retto in cui c’è una stabilità dei microsatelliti, ma è a un livello più basso e non consente un adeguato avvio della risposta immune da parte delle cellule T; ciò porta a una disfunzione delle cellule T stesse e a una precoce ‘evasione’ immunitaria. Lo dimostra uno studio pubblicato di recente su Nature Cancer, secondo cui tuttavia il priming delle cellule T può essere ‘recuperato’ portandole a tornare capaci di controllare anche i tumori con una bassa espressione di neoantigeni.
Gli autori hanno studiato le neoplasie di oltre 400 pazienti per capire i meccanismi della scarsa immunogenicità del tumore al colon retto con microsatelliti stabili e una bassa mutagenicità; in alcuni casi questi carcinomi hanno in media più mutazioni di alcuni tumori che rispondono bene alle terapie con inibitori dei checkpoint immunitari, perciò devono esistere specifici fattori, intrinseci e del microambiente tumorale, che contribuiscono alla scarsa immunogenicità. Per individuarli e studiarli in dettaglio, i ricercatori hanno utilizzato modelli come gli organoidi e il trapianto del tumore nel colon distale dei topi, metodi che si sono rivelati molto fedeli nel riprodurre la genetica e il microambiente tissutale della patologia nell’uomo. L’analisi dei dati mostra che nei tumori al colon retto con microsatelliti stabili e con bassa mutagenicità c’è in effetti la produzione di neoantigeni tumorali, ma questa è a livelli più bassi rispetto a quella che si verifica nei tumori con instabilità dei microsatelliti e alta mutagenicità; questa bassa espressione dei neoantigeni si traduce in una scarsa attivazione della risposta T e nella disfunzione delle cellule T stesse, in ultima analisi portando all’evasione precoce dalla risposta immune.
La buona notizia è che il priming delle cellule T può essere recuperato: nei topi in cui era stato indotto il tumore, la vaccinazione con neoantigeni ha portato alla proliferazione delle cellule T specifiche per il tumore nel sangue periferico e a una riduzione della massa tumorale. Buoni risultati sono stati ottenuti anche con anticorpi per CD40, che migliorano il priming potenziando la funzione co-stimolatoria delle cellule presentanti l’antigene, utilizzati in combinazione con anti-PD-1 e anti-CTLA-4: le combinazioni hanno anche ridotto il tasso di metastasi. «Il sistema flessibile basato sugli organoidi che abbiamo sviluppato potrebbe facilitare gli studi futuri, costituendo una piattaforma preclinica efficiente per la valutazione di nuove immunoterapie», concludono gli autori.