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26/09/2022L’aggiunta di durvalumab alla chemioterapia neoadiuvante ha migliorato la sopravvivenza di pazienti con tumore mammario triplo negativo iniziale, nonostante un incremento non significativo nella risposta patologica completa
Il trial randomizzato placebo-controllato di fase II GeparNuevo, i cui risultati sono stati pubblicati di recente su Annals of Oncology, dimostra un miglioramento significativo nella sopravvivenza di pazienti con tumore mammario triplo negativo iniziale grazie all’aggiunta di durvalumab alla chemioterapia neoadiuvante; questi effetti positivi si sono riscontrati nonostante un incremento soltanto modesto nella risposta patologia completa (pCR).
Un editoriale di commento a questo studio firmato da Luca Gianni, presidente della Fondazione Gianni Bonadonna, e da Giampaolo Bianchini del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Ospedale San Raffaele di Milano, Coordinatore scientifico degli studi traslazionali nel carcinoma mammario in Fondazione Michelangelo, è appena stato pubblicato su Annals of Oncology.
Lo studio GeparNuevo ha randomizzato 174 pazienti a ricevere durvalumab o un placebo in aggiunta a una chemioterapia neoadiuvante con antracicline/taxani; la somministrazione di durvalumab non è proseguita dopo l’intervento chirurgico. Dopo un follow-up mediano di 43.7 mesi, i risultati hanno mostrato che l’aggiunta di durvalumab a una chemioterapia neoadiuvante ha migliorato la sopravvivenza libera da malattia invasiva, la sopravvivenza libera da malattia a distanza e la sopravvivenza complessiva (tutti endpoint secondari), nonostante un incremento numericamente non significativo della pCR. Pur con la limitazione di essere un piccolo trial, inoltre, gli autori non hanno osservato eventi avversi tardivi. In linea con altri studi sull’immunoterapia e la chemioterapia nel tumore mammario in stadio precoce, lo studio GeparNuevo non ha mostrato miglioramenti nel tasso di pCR a seguito dell’aggiunta di un inibitore dei checkpoint immunitari alla chemioterapia; tuttavia, l’effetto positivo a lungo termine sulla sopravvivenza è emerso nei pazienti con e senza pCR, perciò il miglioramento della sopravvivenza dopo una terapia con inibitori dei checkpoint è spiegato solo parzialmente da una aumento del tasso di pCR. I risultati di questo e di altri studi sull’immunoterapia e la chemioterapia nel tumore mammario in stadio precoce potrebbero perciò mettere in discussione l’uso della pCR come endpoint surrogato, quando si voglia valutare il beneficio a lungo termine dell’immunoterapia nel tumore mammario precoce, suggerendo l’opportunità di ricerche che valutino endpoint di lungo periodo come la sopravvivenza complessiva e quella libera da eventi. Inoltre, come concludono gli autori, «Servono ulteriori studi per chiarire l’utilizzo ottimale e la giusta sequenza degli inibitori dei checkpoint immunitari. Alla luce di questi dati il valore dell’aggiunta di una terapia adiuvante con inibitori dei checkpoint deve essere ulteriormente esaminato, dati i potenziali effetti collaterali a lungo termine e l’impatto economico dell’uso degli inibitori dei chekpoint immunitari».
