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Per decenni i ricercatori hanno cercato di individuare antigeni tumorali che potessero diventare bersagli per immunoterapie, tali cioè da indurre una risposta antitumorale mediata dalle cellule T; idealmente, queste terapie dovrebbero essere mirate con precisione verso antigeni tumorali specifici per il singolo paziente, così da massimizzare l’efficacia e ridurre la tossicità. In questo senso potrebbero rivelarsi utili gli antigeni tumorali non canonici e le tecniche utilizzate per identificarli, di cui si parla in una review pubblicata di recente su Nature Biotechnology.
Questi antigeni derivano da trascritti da regioni genomiche che non codificano proteine o da processi di trascrizione non canonici, che possono essere spesso ‘sregolati’ nei tumori e possono anche contribuire al processo di sviluppo tumorale; mentre gli antigeni tumorali canonici sono spesso tumore e paziente-specifici, quelli non canonici hanno la potenzialità per essere tumore-specifici ma comuni fra più pazienti, perciò rappresentano obiettivi interessanti per terapie dall’ampia applicabilità. La review si concentra perciò sui metodi per identificare gli antigeni tumorali non canonici, nello specifico la proteogenomica e l’immunopeptidomica basata sulla spettrometria di massa: in associazione alla trascrittomica e alla profilazione ribosomiale, il metodo consente l’identificazione di migliaia di peptidi non canonici, una cui frazione significativa può essere trovata solo nei tumori. La strategia non è semplice e richiede per esempio soluzioni di bioinformatica avanzata e di validazione analitica per valutare i possibili antigeni e le loro implicazioni cliniche, tuttavia secondo gli autori si tratta di metodi importanti per ampliare lo spettro dei possibili bersagli terapeutici: «L’integrazione delle immunoterapie attuali con bersagli derivati da antigeni tumorali non canonici potrebbe aumentare le possibilità a disposizione, per questo è importante continuare a studiarli e identificarli», scrivono i ricercatori. «Visto il numero crescente di peptidi non canonici, raccoglierli in un database accessibile potrebbe consentire di individuare nuove strategie e ‘hotspot’ tumorali; molti loro aspetti devono essere studiati, come l’eterogeneità o i meccanismi di evasione dalla risposta immunitaria, ma quando un antigene non canonico fosse riconosciuto come clinicamente rilevante e validato in modelli preclinici, questa conoscenza potrebbe essere applicata in differenti piattaforme di immunoterapia, dalle terapie a base di cellule T ai vaccini, agli anticorpi che mimano il recettore delle cellule T, alle molecole bispecifiche. Crediamo che ulteriori studi traslazionali potranno scoprire presto il potenziale clinico degli antigeni non canonici».
