Alcune proteine con un ruolo nei tumori e in altre patologie sono ‘inattaccabili’ da parte delle piccole molecole convenzionali usate come inibitori, ma in un prossimo futuro potrebbero diventare anche loro bersaglio di terapie grazie alla degradazione proteica mirata, una modalità terapeutica emergente di cui racconta origini, sviluppi e possibile futuro una review uscita su Nature Reviews Drug Discovery.
Una classe di molecole che possono rendere possibile la modulazione di proteine-bersaglio grazie alla degradazione proteica mirata sono i degradatori proteici per la proteolisi mirata alla chimera o PROTAC: si tratta di piccole molecole eterobifunzionali composte da due domini attivi e un linker, in cui un ligando recluta e lega la proteina di interesse, l’altro recluta e lega una E3 ubiquitina-ligasi. Il legame simultaneo porta all’ubiquitinazione della proteina bersaglio e la sua successiva degradazione da parte del sistema ubiquitina-proteasoma, mentre la molecola PROTAC è riciclata e può legarsi a un’altra proteina-bersaglio. Un meccanismo d’azione diverso, quindi, da inibitori classici che agiscono attraverso un sito catalitico e in modalità stechiometrica. Oggi, a 20 anni dalle prime PROTAC, la tecnologia è passata dall’accademia all’industria e nel 2019 la prima PROTAC è stata sottoposta a test clinici; nel 2020 i risultati dei trial hanno fornito la prima verifica clinica per questa modalità di intervento contro due bersagli molecolari tumorali ben noti, il recettore per gli estrogeni e il recettore per gli androgeni.
La degradazione proteica mirata è perciò oggi una nuova modalità terapeutica che potrebbe rivelarsi la chiave per riuscire a colpire bersagli proteici finora impossibili da intercettare con farmaci, inoltre le possibilità con le PROTAC sono molte, tante sono anche biodisponibili per via orale e hanno un’ampia penetrazione nei tessuti. Gli autori sottolineano perciò che questa modalità terapeutica potrà offrire nuove opzioni di cura ai pazienti, per molte indicazioni.