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Un elevato carico mutazionale del tumore non è sempre l’elemento a cui guardare per prevedere la risposta della malattia al blocco dei checkpoint immunitari: lo suggerisce uno studio pubblicato di recente su Annals of Oncology secondo cui questo biomarcatore, che misura il numero di mutazioni del tumore scattando una fotografia delle sue alterazioni molecolari, non sembra essere il migliore possibile per valutare l’immunogenicità di tutti i tumori solidi.
Un elevato carico mutazionale del tumore (TMB) è considerato un possibile biomarcatore per identificare i pazienti che possono beneficiare maggiormente del blocco dei checkpoint immunitari perché si assume che l’incremento del numero di proteine mutate comporti un conseguente aumento di peptidi immunogenici, riconoscibili come anomali dal sistema immune, e quindi un miglior effetto della terapia con anti-PD-1 e anti-PDL-1: dati in questo senso esistono per esempio per il tumore al polmone e il melanoma. L’obiettivo della ricerca è stato perciò valutare se questo sia vero per tutti i tumori solidi, analizzando i dati di oltre 10.000 pazienti con 31 diversi tipi di tumore inclusi nel Cancer Genome Atlas del National Cancer Institute statunitense. Dagli autori è stato valutato il TMB e la sua associazione con la risposta alla terapia con inibitori dei checkpoint immunitari, oltre che la correlazione fra il carico di nuovi antigeni previsto misurando il TMB e l’immunogenicità tumorale, misurata dall’infiltrazione di linfociti CD8 nel tumore stesso.
I risultati mostrano che il TMB è capace di predire la risposta alla terapia solo in alcuni sottotipi di cancro, come il melanoma, il tumore al polmone e quello della vescica, ma non c’è invece un’associazione in altri tumori come quello al seno, alla prostata o al cervello. Nei pazienti con una forte correlazione fra lo stato del marcatore TMB e l’infiltrazione linfocitaria, i casi con TMB elevato avevano un tasso di risposta complessivo al blocco del checkpoint immunitari del 39,8%, quindi significativamente più alto rispetto ai pazienti con basso TMB; invece, nei tumori del secondo tipo (in cui non c’è correlazione fra TMB e infiltrazione delle cellule CD8), i pazienti con TMB elevato hanno registrato un tasso di risposta complessivo del 15,3%, perfino inferiore a quello dei pazienti con TMB basso.
«I nostri risultati non sostengono perciò l’uso del TMB elevato come marcatore ‘universale’ per la risposta all’immunoterapia», spiega l’autore della ricerca, Daniel J. McGrail. «In alcuni sottotipi di tumore il TMB ha un indubbio valore, che però non può essere generalizzato a tutti i tipi di cancro: per quelli in cui un TMB elevato non sembra aumentare l’immunogenicità servono ulteriori indagini, così da determinare se il TMB possa essere un marcatore clinico utile e con quale eventuale soglia».