
Un’immunoterapia efficace nel tumore al seno triplo negativo
09/08/2021
Un biologo computazionale torna da Cambridge per Fondazione Gianni Bonadonna
30/08/2021Nel tumore al seno HER-2 negativo l’espressione dei geni MHC-II dà informazioni sulla probabilità di ottenere una buona risposta con l’immunoterapia
Individuare le pazienti con tumore al seno HER-2 negativo che possono avere la miglior risposta all’immunoterapia in aggiunta alla chemioterapia neoadiuvante potrebbe diventare presto una realtà: uno studio retrospettivo pubblicato su Clinical Cancer Research indica che una valutazione dell’espressione tissutale del complesso maggiore di istocompatibilità di II classe (MHC-II) potrebbe costituire un nuovo biomarcatore per identificare le pazienti nelle quali l’aggiunta delll’immunoterapia alla chemioterapia neoadiuvante possa conferire un vantaggio.
Immunoterapie con anti- PD-1/L-1 possono essere d’aiuto in una quota di pazienti con tumore al seno, ma non esistono biomarcatori in grado di prevederne la risposta, cosa che potrebbe essere, invece, estremamente rilevante, considerato che molte pazienti trattate con chemioterapia neoadiuvante raggiungono una risposta patologica completa anche senza utilizzare farmaci immunoterapici, i quali non sono scevri da tossicità, anche potenzialmente di rilievo. Individuare chi invece potrebbe giovarsi maggiormente della terapia di combinazione è perciò importante e per questo Kim Blenman dell’università di Yale, Justin Balko della Vanderbilt University e i loro collaboratori hanno cercato di capire che cosa potrebbe essere utilizzato come biomarcatore del beneficio clinico analizzando tessuti prelevati da pazienti con tumori al seno primari non trattati con immunoterapia, con tumori tripli negativi trattati con chemioterapia neoadiuvante e durvalumab o con tumori HER-2 negativi trattati con chemioterapia neoadiuvante con o senza pembrolizumab.
I dati mostrano che l’espressione specifica del tumore di MHC-II si associa ad un miglioramento della sopravvivenza in queste ultime pazienti con tumori HER-2 negativi e ad alto rischio, quando alla chemioterapia neoadiuvante viene aggiunto l’immunoterapico anti-PD-1. Spiegano gli autori: «I fattori che guidano l’espressione tumorale delle MHC-II non sono del tutto chiari, sebbene questa espressione sia influenzata da segnali infiammatori, come la presenza di interferoni nel microambiente tumorale; le MHC-II non sono però soltanto un marcatore in risposta agli interferoni, perché molte linee cellulari le esprimono costitutivamente e altre non le up-regolano con il trattamento a base di interferoni. L’espressione delle MHC-II specifiche tumorali è un importante oggetto di studi e i nostri dati mostrano che può essere un fattore predittivo specifico e indipendente della risposta all’aggiunta di un anti- PD-1/PD-L1 alla chemioterapia neoadiuvante standard».
I ricercatori sottolineano che i dati devono essere interpretati con cautela per la presenza di meno di 100 casi per braccio di studio e anche per la natura retrospettiva della ricerca. «Si tratta tuttavia del primo studio a valutare e dimostrare la capacità predittiva delle MHC-II tumorali per i benefici dell’immunoterapia in pazienti con tumore al seno», precisano gli autori. «L’utilità delle MHC-II è stata valutata con due approcci indipendenti e in due popolazioni diverse di pazienti, con anticorpi anti-PD-1 e anti-PD-L1 differenti: questi dati suggeriscono perciò che le MHC-II possano essere un potenziale biomarcatore, facile da misurare con un’analisi dei tessuti semplice come l’immunoistochimica, e che perciò dovrebbero essere incluse fra le indagini dei futuri trial di fase II e III di immunoterapia del tumore al seno».
