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28/06/2021Cellule staminali del tumore isolate in vitro e propagate in vivo replicano il tumore originario del paziente: dalle agnosfere potranno arrivare informazioni molto utili
Rari, difficili da diagnosticare, senza terapie specifiche: i tumori di origine sconosciuta o CUP, che rendono conto di circa l’1-2 per cento di tutte le diagnosi di cancro, con un’aspettativa di vita inferiore a un anno e in assenza di cure efficaci sono una vera sfida per la ricerca e la medicina. Per questo un recente studio multicentrico italiano, pubblicato su Nature Communications, è finalmente una buona notizia: i ricercatori sono riusciti a isolare in vitro cellule staminali di CUP, propagarle e osservare che inducono negli animali da esperimento lo stesso tumore metastatico dei pazienti, ottenendo così un modello di studio valido e aprendo la strada a ulteriori caratterizzazioni dei CUP. Il modello è l’asse portante di un innovativo progetto di ricerca, sostenuto da AIRC e diretto dal professor Paolo Comoglio dell’IRCCS Istituto Tumori di Candiolo, che sarà realizzato anche in collaborazione con Fondazione Gianni Bonadonna.
Finora i CUP sono stati affrontati cercando di ipotizzare quale fosse il tessuto di origine, così da trattarli come fossero metastasi di un tumore noto, oppure cercando di individuare marcatori verso cui dirigere farmaci a bersaglio molecolare. L’approccio scelto dal team multidisciplinare coordinato da Carla Boccaccio del Laboratorio di Ricerca sulle Cellule Staminali dell’IRCCS Istituto Tumori di Candiolo è stato invece diverso: i CUP sono stati studiati come tumori che condividono caratteristiche peculiari, fra cui la capacità di disseminare metastasi precocemente e rapidamente, la mancanza nel punto di origine di barriere che favoriscono la formazione di una massa primaria, un blocco precoce della differenziazione. Il primo passo è stato quindi isolare cellule staminali di CUP perché come spiega Boccaccio «Nei tessuti esistono cellule staminali responsabili della riparazione e rigenerazione tissutale e lo stesso è vero per i tumori, dove ci sono staminali che mantengono nel tempo la popolazione di cellule tumorali. Sono cellule particolarmente insidiose, più resistenti alle terapie rispetto a quelle tumorali che vanno incontro a processi pseudo-differenziativi: una sorta di ‘radice del cancro’, più difficile da estirpare. Siamo riusciti a isolarle in vitro da CUP di otto pazienti e le abbiamo quindi trasferite in topi immunocompromessi».
Dalle cellule staminali dei CUP è stato possibile crescere agnosfere, ovvero sferoidi derivati da tumore di origine ignota arricchiti in cellule staminali. Le agnosfere si sono rivelate capaci di propagarsi in coltura nel lungo periodo anche in assenza di fattori di crescita esogeni, di solito necessari per mantenere il fenotipo staminale. Le agnosfere, oltre a mantenere le caratteristiche genetiche e molecolari del CUP originario, hanno riprodotto nei topolini un CUP con caratteristiche identiche a quello del paziente da cui sono state derivate. «Un caso è stato particolarmente interessante», racconta Boccaccio. «Di solito il processo di derivazione che porta dall’isolamento delle cellule all’impianto sul topolino richiede mesi, ma con le staminali dai CUP è stato molto rapido anche in virtù dell’estrema aggressività del tumore: abbiamo isolato le staminali dalle cellule tumorali circolanti del paziente e con il soggetto ancora in vita abbiamo ottenuto un topolino con metastasi negli stessi suoi organi, perfino nei muscoli che sono una rara sede di metastasi. È stato perciò possibile avere una sorta di ‘avatar’ del paziente, un organismo-modello vivente su cui poter sperimentare anche eventuali terapie in parallelo: non è la regola riuscire a ottenere un simile avatar, ma questo risultato conferma che il modello di studio dei CUP attraverso agnosfere può aiutare a fare chiarezza sull’enigma di questi tumori», conclude Boccaccio.
